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DALLA CITTÀ DEI MORTI ALLA SPERANZA DEL PARADISO

Dalla fine dell’Impero Romano all’inizio del Medioevo: le trasformazioni del rituale funebre e della visione della vita dopo la morte.

Le trasformazioni dei rituali funebri dal Tardo Impero romano all’Alto Medioevo sono state lente, graduali ed hanno subìto l’influsso sempre più forte del Cristianesimo che con il suo nuovo credo e le sue diverse modalità ha scardinato l’idea della morte propria dell’antica Roma. A seguito di questa trasformazione alcuni passaggi rituali del funerale sono stati completamente dimenticati; altri, al contrario, non solo sono stati tramandati al periodo successivo, ma fanno tuttora parte integrante del culto contemporaneo. Tutto ciò che riguarda l’aspetto relativo alla purificazione del luogo di sepoltura e le offerte alle divinità dell’aldilà è stato rimosso nonostante facesse parte di un retaggio molto antico. La preparazione e vestizione del defunto, la processione funebre e le lamentazioni sono invece alcuni esempi di riferimento di ciò che è stato mantenuto e tramandato nel tempo.

Una dimostrazione può essere quella delle prefiche, ovvero personaggi femminili che nella Roma antica venivano pagati per partecipare al corteo funebre pur non avendo un legame affettivo o di parentela con il morto. Il loro compito era quello di piangere, disperarsi ed elogiare le gesta del defunto quando era in vita a fronte di un corrispettivo in denaro o in beni di sussistenza. Questa figura assai folkloristica non è del tutto scomparsa e fino a pochi decenni fa era caratteristica dei rituali funerari di alcune zone del sud Italia, con il nome di vociferatrice o reputatrice. La tradizione delle prefiche, o piangenti in uso nelle cerimonie funebri dell’antica Roma erano di derivazione Greca. La lamentazione è una modalità che si riscontra in gran parte delle culture religiose sia politeiste che monoteiste e si è evoluta arrivando, seppur con connotazioni diverse, fino a noi. Tuttavia in alcune popolazioni arcaiche il rituale vietava il pianto durante il funerale: gli abitanti dello Yucatan, ad esempio, evitavano di piangere poiché nella loro credenza le lacrime avrebbero bagnato la strada percorsa dall’anima del defunto per raggiungere il cielo rendendo il cammino più difficoltoso.
Il cambiamento più interessante relativo al passaggio dal Tardo Impero al Medioevo, resta comunque quello relativo al significato attribuito alla morte. Con il Cristianesimo infatti è mutato il modo di rapportarsi al defunto e di conseguenza anche la collocazione spaziale della sepoltura all’interno dei margini della città. I Romani avevano grande rispetto per le anime dei morti, praticavano il culto domestico e le omaggiavano con sacrifici ed offerte. Seppellivano l’urna con le ceneri o il corpo fuori dai confini della città perché nonostante l’importanza che gli attribuivano, consideravano il cadavere contaminato.Il Cristianesimo, al contrario, conferisce anche al corpo, oltre che all’anima, un carattere di sacralità. Se nella credenza romana era solo l’anima l’elemento eterno, il Cristianesimo prevede, infatti, che nel giorno del Giudizio Universale anche il corpo fisico sia riportato alla luce. Di conseguenza la pratica della cremazione viene gradualmente ma completamente sostituita con l’inumazione.
I corredi funebri che servivano ad accompagnare il defunto nel viaggio e che per il popolo Romano rivestivano una grande importanza, incominciano man mano a scomparire.
I funerali iniziano ad essere praticati all’interno della chiesa, che diventa, per un lungo periodo, anche il luogo di commemorazione dei defunti nonché luogo di sepoltura dei corpi.

Da questo momento in poi all’anima è concessa una prospettiva diversa e veramente importante: la possibilità della salvezza. L’idea propria dell’anima, intesa come entità che sopravvive alla morte fisica è esistita fin dai popoli più antichi, ed è in qualche modo correlata al rifiuto della morte da parte degli uomini. L’anima ha il compito di mantenere una continuità del rapporto con il defunto affinché il suo ricordo possa sopravvivere nella memoria. Ma a differenza della visone della tradizione politeista, il Cristianesimo costruisce un’immagine del tutto nuova sia dell’anima che del luogo in cui essa andrà a dimorare dopo la morte del corpo. Da questo momento in poi l’anima può aspirare alla salvezza eterna grazie alle azioni compiute dalla persona in vita, alle sue caratteristiche morali ed alla preghiera intesa come mezzo di espiazione. Già dal IV secolo, infatti, cambiano gli epitaffi funebri in cui vengono elogiate le qualità spirituali piuttosto che quelle relative al ruolo sociale e politico.
La città dei morti non è più una triste trasfigurazione della città dei vivi, ma diventa il luogo della liberazione eterna, della quiete e della salvezza: nasce il Paradiso come regno di Dio.
Le prime immagini del paradiso inteso come luogo primordiale della pace e della quiete sono di origine Sumera. Il mito sumerico del Dilmun, datato nel II millennio a.c. è un’anticipazione del paradiso terrestre, ma solo con l’avvento della religione cristiana questo luogo assume la connotazione fisica e spaziale che noi oggi riconosciamo.

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