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Alcune cellule sopravvivono dopo il decesso: è il “crepuscolo della morte”.

Uno studio su pesci e roditori ha svelato che c’è attività anche molte ore dopo il trapasso. Una scoperta che potrebbe migliorare i trapianti d’organo negli esseri umani.

C’E’ CHI non si arrende alla morte e continua a lottare per portare avanti il proprio compito: si tratta di alcune cellule che dopo il decesso rimangono attive per ore ed ore e proseguono nel loro lavoro. Una scoperta operata da un team dell'University of Washington a Seattle, i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista Open Biology e che suggerisce come la morte di un organismo segua un andamento graduale.

In termini tecnici, l’espressione genica (quel processo per cui le informazioni memorizzate in un gene conducono alla produzione di una proteina o di altro ancora) talvolta addirittura aumenta, perché non tutte le cellule sono caratterizzate dalla stessa durata, tanto che alcune pare cerchino di autoripararsi anche dopo il decesso. Il gruppo di studiosi che comprende, tra gli altri, Alex Pozhitkov e Peter Noble, ha utilizzato per la ricerca dei pesci (zebrafish) e dei roditori, ma il team crede che le osservazioni possano essere estese a tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo. Così è stato scoperto che il processo conosciuto come trascrizione dei geni (la formazione di RNA a partire da DNA) associato al sistema immunitario, o allo stress, o alle infiammazioni, o al cancro ha subito un incremento. Non solo. E’ aumentata anche la trascrizione collegata allo sviluppo embrionale, come se avvenisse un ritorno proprio alle fasi dello sviluppo.
Insomma, dopo la morte, non cessa bruscamente qualunque attività e, anche se non sono chiari i dettagli dei vari passaggi che portano alcune trascrizioni ad arrestarsi mentre altre si attivano, gli studiosi non pensano sia frutto di un caso. Rimane comunque ovvio che un corpo alla fine inizia a decomporsi e, per questo motivo, è stata coniata l’espressione “il crepuscolo della morte”. Un modo per identificare quel lasso temporale che intercorre proprio tra la morte e la decomposizione, un periodo in cui alcune cellule sono in realtà ancora in vita.

La ricerca, nata semplicemente per soddisfare la curiosità sui processi di arresto relativi ad un sistema biologico complesso, in realtà nasconderebbe implicazioni pratiche potenzialmente di rilievo. Perché potrebbe offrire nuove informazioni sui maggiori rischi che corre di ammalarsi di cancro chi riceve un organo da una persona deceduta da poco (anche se il donatore è morto per eventi estranei ad una malattia come un incidente d’auto). Forse è dovuto proprio alla trascrizione genica che avviene prima dell’inizio della decomposizione e che è stata evidenziata dal team americano. La speranza sarebbe anche di comprendere le dinamiche relative a questi gravi problemi di salute che sorgono quando si è ancora in vita e capire le eventuali reazioni del corpo umano.

Si tratta d’ipotesi affascinanti che potrebbero rivelarsi di grande utilità, ma, poiché siamo di fronte ad uno studio pionieristico sull’attività dei geni dopo la morte, rimangono aperte ancora molte domande che dovranno essere necessariamente chiarite se si vuole giungere ad una conclusione in merito.

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